Cari lettori, oggi abbiamo il piacere di presentarvi un articolo scritto da una nostra ex allieva, Valentina Lana, e pubblicato sulla rivista online Émile dell'Associazione Sciences Po Alumni. Valentina Lana ha conseguito la maturità classica presso il Liceo Lagrangia di Vercelli nel 2004 e si è laureata all’Università Cattolica di Milano nel 2009 in giurisprudenza con una tesi riguardante il legame tra diritto civile e bioetica; dopo gli studi universitari si è aperto per lei un periodo di respiro internazionale che l'ha portata a Parigi, dove ha ottenuto un Master in Affari Internazionali presso Sciences Po: oggi si occupa di consulenza in management sui temi della compliance. Nella formazione scolastica ed umana di Valentina, il Liceo occupa un posto importante: è proprio sui banchi di scuola che, per lei, è nata la passione per le lingue e le lettere.
Nell’articolo (https://www.emilemagazine.fr/article/2020/5/12/better-days-ahead-a-better-humanity-is-incubating) l’autrice presenta alcune considerazioni in merito all’inedito periodo che abbiamo vissuto e stiamo ancora vivendo: la diffusione, ormai globale, del coronavirus ha cambiato molto le nostre vite, di colpo ci siamo ritrovati chiusi nelle nostre case e lontani fisicamente dai nostri più cari amici e parenti. Valentina offre un’analisi di tipo macro osservando l’effetto che si è verificato sulla società, mostrando come un solo piccolissimo, ma pericoloso, virus possa far tremare molte delle colonne su cui si basano le nostre certezze. Tutto è diverso, il nostro rapporto con “l’altro” è cambiato, la nostra fiducia pure… Lasciamo la parola direttamente all'autrice, che ha preparato per il nostro blog una presentazione del suo lavoro. L'articolo propone delle riflessioni sulla crisi in corso, ed è nato dal desiderio di portare ordine là dove l'ordine è venuto a mancare, e dal bisogno di fissare su un supporto pensieri e ruminazioni per cristallizzarli e non perderli. Parte della genesi è legata alla condivisione orale di una prospettiva ottimista che ha trovato adesione e ha recato conforto ad una persona molto cara. Ho voluto constatare il senso di smarrimento e di impotenza dato dal non poter disporre di risposte immediate, e il conseguente senso di perdita di controllo; ho legato quest'ultimo all'atrofizzazione della capacità a sostenere intellettualmente l'inconoscibilità della natura profonda della vita, ed al disagio di soluzioni non rapidamente disponibili e di condizioni incerte di trovarne. Altra circostanza che ho messo in luce è la dura prova a cui siamo confrontati dal fatto di doverci fidare, in modo ancora più importante e pervasivo, degli altri (responsabili politici, personale medico, infrastrutture di comunicazione), e, simultaneamente, di non poterci fidare degli altri perché vettori del virus: è il paradosso del distanziarsi per creare fiducia. Ho voluto inoltre mettere in luce la radicale eguaglianza dei membri del consorzio umano fatta emergere dal virus, che non ha neutralizzato, ma ha di certo attenuato la percezione della protezione che elementi quali la classe sociale o una posizione di potere garantirebbero in altri frangenti. Una volta passate in rassegna queste constatazioni, propongo di guardare alle ragioni di speranza, cominciando dalle molteplici possibilità di rimanere, seppur distanziati, in contatto con i nostri cari, vicini e lontani. Un altro dei - molti - paradossi del confinamento è una forma di creazione ed abbattimento simultanei delle distanze: chi era vicino diventa lontano per il non poterlo raggiungere fisicamente, chi era distante fisicamente si riavvicina in virtù della nostra iniziativa di "cercare l'altro", che oggi può essere raggiunto con mezzi largamente disponibili, quali che siano le distanze. E così il sogno umano del teletrasporto si è realizzato. Ho avuto, nel corso del confinamento, l'impressione che la condizione difficilmente sopportabile di isolamento ha motivato molti - metaforicamente, si intenda - ad evadere dalle mura di casa per raggiungere l'altro in luoghi fisici evocati da luoghi della memoria, spesso geograficamente lontani, sovente distanti da quello che sarebbe stato un quotidiano senza virus, una zona di conforto gradevolmente noiosa, rassicurante, senza il rischio della risposta, per definizione imprevedibile, dell'altro da sé. E l'altro è diventato, ancora per frutto del paradosso, più simile perché più umano, vulnerabile, parimenti confinato, ma anche più diverso proprio perché "altro", portatore potenziale di un male invisibile, e perciò minaccioso. In generale, tuttavia, nella mia esperienza del confinamento ho constatato prevalentemente la celebrazione della somiglianza rispetto all'esternazione del timore della minaccia. Nel mio scritto ho evocato inoltre l'inedito ruolo dell'eroe, non più in azione, ma fermo e isolato, la convinzione di poter uscire di crisi non più forti ma rafforzati, ed infine la speranza di vedere energie vitali rinnovate ed un acuito desidero di fare, vedere, apprendere, vivere, misto ad un sentimento di cui si parla troppo poco, ma che è l'ingrediente di base per la soddisfazione, la gratitudine. Ottimismo eccessivo? Non credo di avere ecceduto in ottimismo. Penso invece che un senso di responsabilità per chi ci sta intorno debba comandare l'ottimismo. Poter dipingere un luogo desiderabile verso cui dirigersi collettivamente, mettere in movimento l'immaginazione, ispirare il prossimo, sono le condizioni essenziali per federare e mobilitare le energie necessarie perché la profezia si autoavveri, e siano poste le condizioni di creazione del mondo sperato e sognato. Di fatto, e utilitaristicamente, gli studi fatti sugli effetti bloccanti della paura sulle funzioni cerebrali non possono che invitarci a promuovere l'ottimismo, per poter disporre di tutte le facoltà necessarie a trovare una soluzione. Credo, o piuttosto spero, di avere nondimeno mantenuto uno sguardo attento e lucido sulla realtà. Come ho sentito dire recentemente da un neuropsichiatra francese che ammiro, i nostri pensieri positivi non devono tradursi in illusioni, piuttosto devono svolgere la funzione della stella che orienta il pastore che vaga in cerca della strada. (a cura di G. Santamaria e A. Burocco)
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Ex allievi Liceo Classico “Lagrangia”Un blog per raccontare il Liceo Classico "Lagrangia" di Vercelli e quanti hanno trascorso nelle aule di via Duomo anni importanti della propria formazione. Storie, interviste, approfondimenti culturali e molto altro a cura dell'Associazione ex allievi. Archivi
Giugno 2021
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