Sono già passati tre anni dal mio esame di Stato. Ogni anno, quando il caldo comincia a farsi sentire sempre con maggiore insistenza tra la fine di maggio e l’inizio di giugno, ripenso spesso a quei giorni. In queste ultime settimane ho riflettuto molte volte sul fatto che tanti ragazzi non potranno affrontare la maturità allo stesso modo degli studenti che li hanno preceduti.
Mi è sempre piaciuto credere che l’esame di Stato, pur con i suoi tanti difetti e problemi strutturali, rimanga inevitabilmente un rito di passaggio, quel momento che ti permette di chiudere un ciclo durato cinque anni e di proiettarti verso una nuova fase della vita. La mia maturità ebbe inizio il 9 giugno del 2017, l’ultimo giorno di scuola. Quella sera io e miei compagni della III A avevamo organizzato l’ultima cena di classe con i nostri professori. Avevamo scritto insieme un breve discorso di ringraziamento per tutti quegli insegnati che erano stati così importanti durante la nostra adolescenza ricordando i tanti momenti iconici e le battute rimaste negli annali della nostra classe. Ricordo ancora in modo divertito il momento in cui ci facemmo convincere da alcune nostre compagne ad andare a ballare improvvisando una serata in discoteca e costringendo chi era venuto in auto a fare mille giri per poter portare tutti. Poco più di dieci giorni dopo, il 21 giugno, ci fu la prima prova. Sì, fu l’anno di Caproni. Mentre stavo scrivendo il mio tema, mi presi un momento per osservare i miei compagni. Erano tutti così concentrati e intenti a scrivere che mi sentii così immersa in quel clima da volerlo fissare nella memoria. Quanto accaduto il giorno successivo, durante la versione, fu piuttosto divertente. Quell’anno era uscito latino in seconda prova. Dopo un primo sospiro di sollievo per il fatto che il testo fosse stato tratto da Seneca, seguì un certo mormorio sulla facilità della versione. Quasi tutti finimmo di tradurre piuttosto in fretta, ma fummo costretti ad aspettare che fosse trascorso il minimo di ore necessarie per poter uscire dal liceo. Persino io fui una delle prime a consegnare e credo che i miei compagni di classe ricordino ancora i tempi biblici che impiegavo per finire le verifiche. La settimana dopo ebbe inizio con la terza prova che ormai non esiste neanche più. Avevamo greco, filosofia, matematica e inglese, di cui le ultime due materie esterne. Potete capire la gioia di dover portare fisica all’orale con un professore sconosciuto, noi che non siamo mai stati delle cime nemmeno in matematica. La mia maturità si concluse quella stessa settimana: passai sabato 1° luglio. Ero l’ultima della giornata. Non che ora le cose siano molto cambiate all’università a causa del mio cognome. Faceva caldo ed io avevo avuto la brillante idea di mettermi una giacca per sembrare più elegante. Avevo passato la notte in bianco per ripassare il Paradiso di Dante, un vuoto clamoroso sulle traduzioni di greco e le formule di fisica mi perseguitava, i professori erano in ritardo di un’ora per cui passai alle 13:00 ed ero ormai così agitata che nel presentare la mia tesina non feci scorrere le diapositive del PowerPoint mentre parlavo. Però alla fine ogni cosa andò bene e uscii dal liceo senza forse nemmeno rendermi conto che era tutto finito per davvero. Dieci giorni dopo arrivarono i risultati e poco dopo partii per Firenze in viaggio di maturità con le mie amiche. Fu una bella estate. A settembre di quell’anno cambiarono molte cose. A dire la verità, in tre anni di università sono mutate così tante abitudini che all’inizio è stato difficile stare dietro a ogni cambiamento. La vita universitaria stessa è estremamente mutevole: i ritmi di lezione possono cambiare drasticamente da un semestre all’altro, non fai in tempo ad abituarti a una nuova routine che devi già modificarla. Forse è questo che può spaesare maggiormente dopo anni liceali così statici e sicuri. Posso dire di essere stata molto fortunata: non è così scontato trovare un ambiente scolastico in cui sentirsi davvero bene, amare quello che si studia e passare le giornate con persone stimolanti. Credo di non averlo mai detto ai tempi, ma ho amato profondamente ogni persona che ha fatto parte di quella che per cinque anni è stata un po’ la mia seconda casa, la III A. Abbiamo idolatrato Barbero ed Eva Cantarella in modo smodato, fino all’ultimo abbiamo continuato a ignorare il segreto dietro alla corsa balzata e abbiamo cantato tutti insieme al ritorno di ogni gita. Non eravamo una classe perfetta, ma sono convinta che ci siamo dati tanto l’uno con l’altra durante quei cinque anni. Mi mancate e spero che, tre anni dopo, ognuno di voi stia realizzando pienamente il proprio percorso, non solo universitario, ma anche, e soprattutto, di vita. Lavinia Zanotti
3 Comments
Marta Boccalini
17/6/2020 20:21:51
Anche a me mancate, tu e i tuoi compagni: la vostra è stata una delle classi a cui sono più legata. Per fortuna i fili tra noi non si sono mai spezzati. Vi voglio bene, come sempre.
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❤️
17/6/2020 22:40:34
❤️
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Ex allievi Liceo Classico “Lagrangia”Un blog per raccontare il Liceo Classico "Lagrangia" di Vercelli e quanti hanno trascorso nelle aule di via Duomo anni importanti della propria formazione. Storie, interviste, approfondimenti culturali e molto altro a cura dell'Associazione ex allievi. Archivi
Giugno 2021
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